Studi randomizzati, cosa sono e come funzionano gli RCT
L’esame diagnostico migliore, perché il più accurato, è senza dubbio quello a cui tutti gli altri studi devono rapportarsi per avere una propria validità diagnostica. In medicina, questo viene definito come ‘gold standard’, lo standard di riferimento, proprio in relazione alla sua importanza.
Nella sperimentazione clinica questo è rappresentato dallo studio controllato randomizzato, un tipo di studio sperimentale che permette di valutare l’efficacia di uno specifico trattamento in una determinata popolazione. Parte fondamentale della buona pratica clinica, ecco cos’è e come funziona.
Cosa sono gli studi randomizzati: il significato dell’espressione
Ridurre i bias, durante la sperimentazione di nuovi trattamenti, è una priorità assoluta, per ogni ricercatore. Nel corso della realizzazione di uno studio clinico tramite studi sperimentali, differentemente da quanto accade per uno studio osservazionale, vi è la possibilità di intervenire in maniera diretta su alcune variabili. Tra queste vi è sicuramente la composizione e la scelta della popolazione su cui indagare.
Uno studio randomizzato si distingue dagli altri proprio per quanto riguarda i soggetti che vengono arruolati per partecipare alla sperimentazione. Spesso definito come RCT, dall’acronimo anglofono ‘Randomized Controlled Trial’, appunto ‘studio clinico randomizzato’, è una particolare tipologia di esperimento scientifico, spesso clinico, che si basa sull’assegnazione dei partecipanti in due gruppi, detti gruppo di controllo e gruppo di intervento, in modo del tutto casuale.
È proprio la caratteristica della casualità a permettere di definirlo come RCT, laddove la parola ‘randomizzato’ (la ‘R’ della sigla) deriva dall’inglese ‘randomized’, ovvero, appunto, casuale; la ‘C’ della sigla, invece, rappresenta la parola ‘controlled’, ossia ‘controllati’, perché vengono effettuati controlli su più fronti per assicurarsi che non ci siano errori di valutazione.
Le caratteristiche dei soggetti arruolabili nei due differenti gruppi, comunemente definiti ‘bracci’, vengono dettagliatamente specificate all’interno del protocollo di studio, avvalendosi di sistemi informatici che casualmente assegnano il paziente selezionato a un braccio. Un approccio vantaggioso, che permette di eliminare il rischio di condizionare le scelte fatte, da parte dei medici, e le analisi successive.
Studi randomizzati controllati, come funzionano gli RCT
Alla base del funzionamento di uno studio randomizzato controllato, dunque, vi è il fatto che gli elementi da inserire all’interno dei gruppi vengono scelti in maniera del tutto legata al caso. Il fatto che i soggetti vengano circoscritti, presuppone che questi vengano trattati in modo diverso.
Tra i due insiemi, uno viene definito ‘gruppo sperimentale’, e l’altro, invece, ‘gruppo di controllo’. In questo caso, e in tutte le sperimentazioni cliniche che prevedono due gruppi diversi, al primo viene somministrata la terapia oggetto dello studio clinico, mentre al secondo un trattamento di cui si conosce l’effetto, oppure nessun trattamento (effetto placebo).
Gli studi randomizzati ‘entrano’ nella cosiddetta Fase III, quella in cui si testa l’efficacia terapeutica, in cui, in termini semplici, il nuovo trattamento viene confrontato con la migliore terapia disponibile già in uso, o, appunto, con un placebo. Lo scopo dell’RCT è quello di studiare due o più interventi su una serie di individui, che li ricevono in modo casuale, con una valutazione rigorosa di una singola variabile, utilizzando ragionamenti ipotetico-deduttivi, e riducendo i bias.
Studi randomizzati in doppio cieco, cosa sono e come funzionano
È proprio la riduzione degli errori, come detto, l’obiettivo principale degli studi controllati randomizzati. Per tendere il più possibile verso questo obiettivo, spesso si decide di condurre questi esperimenti in condizioni definibili come ‘di cecità’, ovvero evitando che gli individui sappiano quale sia il farmaco che stanno assumendo, e la terapia alla quale sono sottoposti.
Gli RCT, dunque, hanno la possibilità di essere svolti con la formula dell’esperimento in singolo cieco: in questo caso, nessuno dei pazienti a cui è somministrato il prodotto sa così non viene condizionato dalla propria suggestione, ma il personale medico è al corrente di quali pazienti popolano l’uno o l’altro gruppo.
In uno studio randomizzato in doppio cieco, invece, c’è la possibilità di far sì che né i pazienti né i medici sanno chi ha assunto cosa, così anche chi compie l’osservazione clinica, possa agire nel modo più oggettivo possibile.
Nonostante il suo utilizzo sia molto meno diffuso, esiste la possibilità che l’RCT venga svolto in triplo cieco, in cui non solo né il paziente né lo sperimentatore sanno alcunché, ma anche il valutatore.
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Redazione Business School