Cessione di partecipazioni rivalutate: recesso atipico e profili di elusività
Nel corso degli ultimi anni, a seguito dell’introduzione del nuovo articolo 10-bis nella Legge 212/2000 (Statuto del Contribuente), l’Agenzia delle Entrate ha avuto modo di fornire molti chiarimenti in tema di abuso del diritto nelle operazioni di riorganizzazione societaria.
Da ultimo, sul tema, interviene la risposta ad interpello n. 341 del 23 agosto 2019, in cui l’operazione oggetto di valutazione si inserisce, altresì, nell’ambito di un passaggio generazionale e gestionale.
Nella fattispecie, sono stati riconosciuti profili elusivi riguardo ad una operazione con la quale le partecipazioni dei soci fondatori non sono state cedute ai rispettivi figli, ma ad una Newco da essi partecipata, la quale veniva poi incorporata con una fusione inversa, dalla società di famiglia, partecipata solamente dai figli medesimi. Ebbene, secondo l’Agenzia delle Entrate, l’operazione è da ritenersi abusiva in quanto cela un recesso tipico incompatibile con la ratio della rivalutazione delle quote e, di conseguenza, genera un vantaggio fiscale indebito in favore dei soci uscenti.
Più precisamente, come evidenziato nel documento di prassi, in luogo della cessione della partecipazione ai figli, lo schema adottato è stato il seguente:
- rivalutazione, da parte dei soci fondatori, delle partecipazioni con pagamento dell’imposta sostitutiva;
- cessione delle partecipazioni non ai figli, ma ad una Newco costituita dai figli stessi;
- incorporazione della Newco dalla società di famiglia con un’operazione di fusione inversa.
Come rilevato, l’Agenzia delle Entrate non ha accolto l’impostazione prospettata dagli istanti. Tuttavia, preliminarmente, sembra opportuno fornire alcuni chiarimenti inerenti il caso in esame che, secondo la posizione assunta dall’Amministrazione medesima, sono alla base dell’abuso della norma.
In primo luogo, si evidenzia che la partecipazione sociale può generare redditi sia in forma di capital gain, rientranti nella categoria dei redditi diversi di cui all’art. 67 e ss. del TUIR, sia in forma di dividendi, appartenenti alla diversa categoria dei redditi di capitali, disciplinati dall’art. 47 e ss. del TUIR. Inoltre, ai sensi dell’art. 47, comma 7, del TUIR, rientrano in quest’ultima categoria i redditi ricavabili dal socio in sede di liquidazione, riscatto o recesso.
Quanto al così detto “affrancamento” o “rivalutazione” delle partecipazioni, lo stesso è stato introdotto nel nostro ordinamento con la legge bilancio 2002 (Legge n. 448/2001). Trattasi della possibilità di rideterminare il valore di acquisto della partecipazione sino al suo valore fiscale corrente, così da azzerare la plusvalenza tassabile. Ad esempio, se la partecipazione è stata acquistata in passato a 100, e può essere ora rivenduta a 200, con una plusvalenza tassabile di 100, detta rideterminazione consente di aumentare il valore di acquisto della partecipazione fino a 200. L’allineamento è ottenuto grazie al pagamento di una imposta sostitutiva sensibilmente più bassa, oggi prevista al 10%, rispetto all’aliquota ordinaria del 26%.
Inoltre, il fatto che la rubrica della norma di cui all’art. 5 L. 448/2001 riporti la locuzione “rideterminazione dei valori di acquisto delle partecipazioni” lascerebbe già intendere che gli effetti dell’affrancamento del costo della partecipazione, a fronte del prelievo sostitutivo, si producano con riferimento alla categoria dei redditi diversi, e non anche con riferimento alla categoria dei redditi di capitale. Per effetto della rivalutazione, dunque, verrebbe aggiornato il costo fiscale della partecipazione ai fini della cessione, o del conferimento, mentre l’allineamento non sortirebbe alcun effetto nel caso di recesso, riscatto o liquidazione (fattispecie queste comprese nei redditi di capitale). Ed in effetti, tale aspetto è stato già evidenziato dall’Agenzia delle Entrate nella Circolare n. 16/E del 2005.
Ecco il punto alla base dei rilievi mossi dall’Agenzia delle Entrate. Per questo motivo, anche nel caso in esame, viene ribadito che il valore delle partecipazioni rideterminato è utilizzabile in occasione del recesso atipico del socio dalla società, realizzato mediante acquisto da parte degli altri soci proporzionalmente alle loro partecipazioni, oppure da parte di un terzo concordemente individuato dai soci medesimi. Nell'ipotesi invece di recesso tipico, il valore rideterminato non può essere utilizzato, in quanto le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci costituiscono utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l'acquisto, o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate.
Secondo l’opinione dell’Agenzia delle Entrate, dunque, l’operazione oggetto di valutazione, così come prospettata dagli istanti, anniderebbe una situazione in cui le parti si sono costituite le condizioni per beneficiare di un recesso atipico (la cessione delle partecipazioni dai soci uscenti alla newco), nel contesto del quale è pienamente efficace la rivalutazione delle partecipazioni con imposta sostitutiva, quando invece l’operazione naturale sarebbe stata il recesso tipico, nel cui ambito la rivalutazione non sortisce invece effetti, essendo il reddito prodotto un reddito di capitale. Siffatta condotta, a parere dell’Ufficio, si tradurrebbe in un comportamento abusivo volto all’ottenimento, in capo ai soci uscenti, di un vantaggio fiscale indebito derivante dall’assolvimento della minore imposta sostitutiva all’11%, in luogo della ritenuta a titolo di imposta del 26%, prevista ordinariamente sui redditi di capitale.
Per questo motivo, non sono state riconosciute ragioni extrafiscali non marginali nella sequenza di operazioni adottate, le quali sarebbero invece preordinate essenzialmente all’abbattimento del carico tributario in capo ai soci uscenti che avevano rivalutato le partecipazioni.
Milano, lì 30 agosto 2019
Avv. e Dott. Maurizio Di Salvo
(Coordinatore Didattico e Docente: Master in Diritto Tributario)
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Redazione Alma Laboris