Il ruolo chiave del Giurista d’Impresa
Il giurista d’impresa, nuovo volto dell’avvocatura, ricopre un ruolo strategico e si misura nel lavoro in house sui temi industriali e sul business, viaggia con competenze trasversali corredate da qualificati master, affronta con armi più affilate i delicati aspetti della compliance, la tutela dei rischi aziendali, la scelta dei legali esterni, tratta i loro compensi cercando di far risparmiare l’azienda.
L’Aigi, preme per equiparare l’Italia a molti paesi europei, dove il general counsel ha le sue prerogative di avvocato compreso il legal privilege, il segreto professionale e propone la creazione di un albo speciale.
Bepi Pezzulli da marzo di quest’anno è direttore affari legali di Italiaonline, azienda leader nel settore della pubblicità digitale e servizi di marketing alla media e piccola impresa, nata dalla fusione con Seat Pagine Gialle. Ha esperienza di avvocato a Wall Street e guida uno studio legale di quindici persone.
«È un lavoro estremamente impegnativo – spiega - perché richiede molteplici competenze: se sono avvocato di una azienda farmaceutica un po’ di chimica la devo conoscere. Siamo per metà avvocati e per metà professionisti sul libero mercato. Nel mio ruolo sono chiamato a discutere le posizioni economiche e a selezionare gli studi legali esterni che ci assistono. Le aziende sono giustamente esigenti perché il giurista d’impresa è gestore del rischio aziendale, normativo, regolamentare, per cui pretendono alti standard professionali. Se c’è causa contro la società, devo valutarne la fondatezza, l’impatto reputazionale, quello sul bilancio, sta a me decidere se recedere o resistere».
La figura del Giurista d’Impresa a 360 gradi.
Background professionali più completi, competenze su materie commerciali e economiche. La figura del giurista d’impresa è in piena evoluzione. Marilù Capparelli, 42 anni, è dal 2009 capo dell’ufficio legale di Google, dopo essere stata direttore del legale di eBay ed aver lavorato con law firm internazionali.
«Dirigo un team di otto persone e lavorando a stretto contatto con il management, decido le strategie legali. In house si vedono i processi dall’inizio alla fine, si lavora con il business, non ci si limita a dare un’opinione ma si partecipa alle scelte».
Dalla base italiana, Capparelli tiene i contatti con l’estero:
«Mi occupo anche di altri paesi e sono in stretto contatto con i colleghi di Google che lavorano negli Usa e nel mondo”. È suo il compito di essere interfaccia tra azienda e studi legali: «È ovvio che un’azienda come la mia si appoggi a grandi studi legali, noi decidiamo chi ingaggiare e trattiamo le parcelle».
Il limite di non poter praticare la professione forense c’è, «va a beneficio degli studi legali che fanno più business, mentre si potrebbero risparmiare alcuni costi di outsourcing».
Quanto guadagna un giurista d’impresa?
«La retribuzione, almeno in società di un certo livello, è adeguata a quella dei grandi studi legali», risponde la manager di Google. Sono avvocati esperti di economia e finanza, chiamati a proteggere gli interessi dell’impresa. Osservatorio privilegiato per Marco Reggiani, dal 2010 direttore affari legali, societari e compliance di Snam, segretario del consiglio di amministrazione e membro del comitato di direzione. Il general counsel Reggiani ha uno staff di 60 persone che diventeranno 40 dopo la scissione di Italgas. Nella sua azienda, società di diritto privato, quotata in Borsa, l’azionista al 30% è la Cassa depositi e prestiti, è manager e avvocato iscritto all’ordine di Milano. L’affidamento degli incarichi legali esterni è uno dei suoi compiti più impegnativi.
«La mia principale responsabilità è quella di fare delle gare, far partecipare vecchi e nuovi studi, valutare l’offerta sia tecnica che economica, che non significa il prezzo più basso. La nostra professione è utile, ci si occupa di legalità e di lotta alla corruzione».
Su questi temi, con il suo team ha creato una best practice di gruppo: ‘il patto etico di integrità’ con i fornitori, basato sulla trasparenza delle figure che lavorano con Snam. Scelte ardue per una professione ad alto tasso di impegno. Massimiliano Lovati da cinque anni è responsabile degli affari legali di Banca popolare di Milano, con uno staff di 60 persone.
Ha fatto anche l’avvocato all’esterno e poi è rimasto in azienda. «Il nostro lavoro è cambiato in meglio negli anni: gestiamo risorse, budget e soprattutto rischi per assicurare un livello di legalità assoluto e diffuso».
Ai legali interni viene chiesto di fare prevenzione, ma anche assistenza alla rete e di aiutare lo sviluppo del business. «Siamo concentrati sul digitale, sull’online, processi che consentono il monitoraggio puntale delle posizioni, ma soprattutto di allocare i rischi nelle aree di competenza giuste. Tempo per andare in tribunale proprio non ce n’è».
Il diritto di sentirsi chiamare avvocato?
«Ragiono all’inglese, in genere nei biglietti da visita solo nome cognome e ruolo», continua Massimiliano Lovati.
Ma sul legal privilege «una battaglia va fatta. Le banche sono destinatarie di accessi di varie istituzioni, tra cui la magistratura. La casa di vetro va bene, ma sarebbe giusto che io potessi opporre il segreto professionale per tutelare la banca». Affar suo quotidiano è il rapporto con gli studi legali esterni, col contenzioso che cresce e le aziende che frenano sulla spesa. Il beauty contest è ormai un punto di riferimento imprescindibile.
«Per le cause abbiamo un accordo quadro con gli avvocati, che fissa le condizioni cercando di condividere un po’ di rischio. Occorre lavorare bene sugli accantonamenti, se si può transigere, meglio. Offriamo agli avvocati in caso di vittoria un 20% in più, idem se si va alla transazione a prezzi corretti. Nell’ingaggio degli studi applico la rotazione. Il prezzo è importante ma non è l’unica variabile. Quando è troppo basso, a meno che uno studio non voglia fare dumping per aprirsi il canale con la banca, come minimo il lavoro è affidato a uno junior dello studio».