Posizionamento dell'Italia nel commercio internazionale
Nel 2017, l’Italia ha beneficiato dell’intensa crescita del commercio mondiale di beni (+10,6% rispetto al 2016 in valore in dollari a prezzi correnti e +4,5% in volume) facendo registrare un sostenuto aumento sia delle esportazioni nazionali (+7,4% in euro a prezzi correnti) sia delle importazioni (+9,0%) e una sostanziale stabilità della nostra quota di mercato sul commercio mondiale (2,92% rispetto al 2,95% del 2016).
Performance e posizionamento dell’Italia nel commercio mondiale
Queste dinamiche hanno determinato una contenuta riduzione del nostro avanzo commerciale (2,2 miliardi in meno rispetto al 2016), che nel 2017 raggiunge i 47,4 miliardi di euro. Al netto dei prodotti energetici, l’attivo commerciale è di 81,0 miliardi di euro, con un ampio incremento sul 2016 (+4,5 miliardi).
Anche per quanto riguarda l’interscambio di servizi, l’Italia ha registrato nel 2017 una performance positiva (+8,4% per le esportazioni e +9,3% per le importazioni), trainata dalla crescita a livello internazionale (+7,5% l’incremento nominale del valore dell’interscambio mondiale di servizi).
Nell’ambito del quadro definitorio e di misurazione fornito dai Conti economici nazionali, si registra nel 2017 una performance complessivamente positiva per le esportazioni nazionali di beni e servizi espresse in valori concatenati. In particolare, le nostre vendite sui mercati esteri sono cresciute ad un ritmo più elevato di quelle dell’area euro e dei principali paesi europei (+5,7% in Italia, +5,4% nell’area euro e +4,6% in Germania). La dinamica fortemente espansiva delle esportazioni ha determinato un contributo positivo della domanda estera netta alla crescita del Pil pari a 0,3 punti percentuali.
Nel primo semestre del 2018, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, le statistiche di base sul commercio con l’estero di merci registrano un ridimensionamento della crescita tendenziale, quasi dimezzata, delle esportazioni nazionali a valori correnti (+3,7% rispetto al +7,8% del 2017). Questo andamento segue il rallentamento della crescita del commercio mondiale che, seppur in un quadro internazionale incerto, risulta nel complesso ancora favorevole all’espansione sui mercati esteri.
L’Italia, un paese con un’elevata vocazione all’export
All’interno dello scenario descritto, l’Italia nel commercio mondiale presenta un’elevata vocazione all’export del sistema produttivo che è confermata dai principali indicatori di internazionalizzazione. In particolare, la propensione all’export rispetto alla produzione di prodotti manifatturieri ha raggiunto il 45,4% nel 2017, con un incremento di oltre 4 punti percentuali nel periodo 2013-2017.
I settori industriali che si caratterizzano per la più elevata propensione all’export sono: articoli farmaceutici, chimico-medicali e botanici, macchinari e apparecchi, Computer, apparecchi elettronici e ottici, Apparecchi elettrici, Mezzi di trasporto e Prodotti tessili, abbigliamento, pelli e accessori. D’altro canto il grado di penetrazione delle importazioni di prodotti industriali ha raggiunto il 40,2% nel 2017, con un incremento di quasi 5 punti percentuali rispetto al 2013. La crescente dipendenza dai mercati esteri è da considerare con attenzione in termini prospettici, rappresentando un fattore che potrebbe neutralizzare gli effetti positivi della performance dell’export sulla crescita del Pil.
Al fine di analizzare in modo più completo gli effetti degli accordi commerciali promossi dall’Unione Europea è utile considerare non solo le specifiche caratteristiche dei paesi partner ma anche le peculiari caratteristiche del sistema produttivo italiano. Quest’ultime sono ora brevemente richiamate sulla base di recenti contributi di analisi e di ricerca.
Il modello di specializzazione italiano
Il modello di specializzazione italiano sui mercati internazionali rimane caratterizzato dal rilevante ruolo dei settori tradizionali e della meccanica strumentale, anche se alcuni settori, come ad esempio l’industria farmaceutica e i mezzi di trasporto, hanno recentemente incrementato il loro peso come effetto di processi di riorganizzazione della produzione su scala globale determinati da multinazionali italiane e straniere.
A fronte della persistenza delle caratteristiche strutturali del modello di specializzazione settoriale, rilevanti trasformazioni hanno interessato le filiere di produzione, sempre più interconnesse con quelle a livello regionale o globale. In particolare, nel 2017, i beni esportati per fini produttivi, che includono sia i prodotti intermedi (31%) sia quelli strumentali (33,7%), rappresentano nel complesso quasi il 65% delle esportazioni nazionali, lo stesso aggregato è pari a quasi il 60% per le importazioni.
L’elevata presenza di operatori all’export residenti in Italia (sono oltre 217 mila nel 2017) si caratterizza per una forte polarizzazione: una consistente fascia di “microesportatori” (136.546) presentano un ammontare di fatturato all’esportazione molto limitato (fino a 75 mila euro), con un contributo al valore complessivo delle esportazioni pari allo 0,5%. D’altra parte, poco più di 4 mila e 500 operatori appartengono alle classi di fatturato esportato superiori a 15 milioni di euro; questo segmento di imprese realizza il 73,4% delle vendite complessive realizzate dagli operatori sui mercati esteri.
Gli operatori all’export
Gli operatori all’export, e specialmente i micro-operatori, tendono a concentrare la loro presenza in aree geografiche limitrofe al territorio nazionale, confermando la rilevanza del fattore distanza per le piccole e medie imprese meno strutturate. Sempre nel 2017 si registrano 162.394 presenze nell’area Ue, 81.831 nei paesi europei non Ue, di cui 44.647 in America settentrionale, 43.686 in Asia orientale, 35.158 in Medio Oriente, 26.443 in America centro-meridionale, 22.856 negli Altri paesi africani, 22.593 in Africa settentrionale, 18.614 in Oceania e altri territori e 17.236 in Asia centrale.
In termini di imprese attive nell’industria e nei servizi, le imprese esportatrici nel 2016 sono 195.745. Nel 45,1% dei casi si tratta di imprese manifatturiere (con un peso dell’82,8% sull’export nazionale), nel 41,0% sono imprese commerciali con un peso di poco inferiore al 15% sulle vendite all’estero, confermando quindi il ridotto ruolo dell’intermediazione commerciale nel promuovere l’export italiano in termini comparativi rispetto ai principali paesi dell’Ue.
Il contributo delle imprese alle esportazioni nazionali cresce sensibilmente all’aumentare della dimensione d’impresa. Le grandi imprese esportatrici (1.952 unità con almeno 250 addetti) hanno realizzato nel 2016 quasi la metà delle esportazioni nazionali (46,6%), le medie imprese (50-249 addetti) il 29,6% e le piccole imprese (meno di 50 addetti) il restante 23,9%. Il confronto con gli altri grandi paesi europei mostra un peso nettamente superiore delle PMI sull’export nazionale italiano.
Le imprese esportatrici si differenziano notevolmente in termini sia di propensione all’export sia di profili di internazionalizzazione. Per quanto riguarda il primo aspetto, nell’ambito della manifattura (88.367 imprese esportatici) il 46,4% delle aziende esporta meno del 10% del fatturato, mentre solo il 9,6% destina ai mercati esteri una quota pari o superiore ai tre quarti delle vendite. Per quanto riguarda i profili, l’appartenenza a gruppi di imprese o reti nonché la presenza di un profilo complesso di internazionalizzazione e digitalizzazione costituiscono importanti fattori distintivi per la performance sui mercati esteri.
Il ruolo delle imprese multinazionali a controllo nazionale o estero è rilevante per le esportazioni e importazioni nazionali di merci, cui contribuiscono, rispettivamente, per il 66,7% e per il 73,4% nella manifattura e al 44,3% e al 64,9% nel commercio.
L’interscambio di servizi con l’estero rappresenta in Italia una quota limitata di quello complessivo di merci e servizi: nel 2017 la quota era pari al 18,4% per l’export e al 21,1% per l’import. La presenza di un saldo negativo nel conto corrente della bilancia dei pagamenti – in progressiva espansione fino a raggiungere -3,7 miliardi nel 2017 – segnala la presenza di alcuni sostanziali vincoli strutturali all’espansione internazionale di questo importante macro-settore del sistema produttivo italiano. Questi vincoli riguardano sia la ridotta competitività e apertura internazionale dei suoi principali comparti (in primis ICT e business services) sia il contenuto grado di interdipendenza tra i servizi alle imprese e la produzione industriale, rendendo questo macro-settore molto più esposto ai rischi della competizione internazionale rispetto al settore manifatturiero.