Alma Laboris Business School - La tutela dei diritti di proprietà intellettuale in Cina verso maggiori garanzie per le imprese

La tutela dei diritti di proprietà intellettuale in Cina verso maggiori garanzie per le imprese

La tutela dei diritti di proprietà intellettuale in Cina

Nella metamorfosi del diritto cinese negli ultimi anni, il capitolo dei marchi d'impresa è certamente uno dei più articolati e complessi. Ancorché questo settore del diritto sia stato oggetto di una serie di azioni di integrazione e di adattamento agli standard internazionalmente riconosciuti, la Cina continua a destare forti preoccupazioni per le imprese (italiane e non).

 

Tali timori nascono in ragione delle sistematiche contraffazioni di marchi a danno dei (legittimi) titolari, spesso costretti a “riacquistare” i medesimi (nel 2012, Apple si è ricomprata per 60 milioni di dollari il marchio iPad in Cina), ad intraprendere estenuanti battaglie legali (tra il 2002 ed il 2006, Starbucks ha dovuto presentare ben 85 opposizioni contro violazioni dei propri marchi), a modificare le proprie strategie commerciali, se non addirittura a dover “ripiegare” su un diverso marchio per poter legittimamente vendere in Cina, a discapito della brand identity delle loro imprese.

Il problema richiede un grande impegno conoscitivo ed operativo da parte delle imprese e dei professionisti coinvolti: in particolare, la necessaria pianificazione di una tutela mirata e preventiva delle privative industriali sul territorio cinese, attraverso una gestione intelligente e tempestiva dei propri diritti di marchio, volta a prevenire, più che a curare il fenomeno della contraffazione, seguendo alcuni accorgimenti pratici di notevole importanza:

  • procedere al deposito anticipato dei propri marchi in Cina con largo anticipo rispetto all’ingresso effettivo dei prodotti marchiati sul mercato cinese: il costo del deposito preventivo di un marchio è di gran lunga inferiore ai successivi costi legali per riappropriarsene;
  • procedere alla ripetizione del deposito per le singole classi e sottoclassi (previste dal sistema cinese), dopo attento esame e pianificazione del proprio business nel medio-lungo termine;
  • procedere al deposito della traslitterazione del proprio marchio in ideogrammi cinesi, ponendo mente al significato concettuale del marchio, al suo aspetto grafico e fonetico, su cui potrebbero attestarsi le contraffazioni;
  • procedere al deposito del copyright della parte figurativa del proprio marchio;
  • cooperare con le autorità diplomatiche (attraverso le Ambasciate ed i Legal Attaché) e con le autorità doganali, investendo nella “formazione” degli agenti doganali, fornendo loro gli strumenti necessari (manuali, cataloghi, schede tecniche dei propri prodotti) per innalzare il loro livello di accuratezza nell’intercettare la merce sospetta di contraffazione (in particolare quella in uscita dalla Cina).

Nonostante le progressive riforme della legge marchi cinese, si registra un incessante proliferare di contraffazioni/usurpazioni di marchi già usati e noti sul territorio cinese. Ci riferiamo alle note pratiche di trademark grabbing, squatting, hijiacking, dilution, secondo le espressioni mutuate dal diritto anglosassone.

Non va sottovalutata, inoltre, la pratica dell’Italian Sounding, spesso ricorrente in Cina, che consiste nell’attribuire ai prodotti (generalmente agroalimentari) un marchio il cui suono evoca l’origine italiana. Attraverso tale escamotage il pubblico cinese si trova ad associare erroneamente il prodotto locale, contraddistinto da un marchio evocativo di quello italiano, con conseguenti danni economici, a carico delle imprese titolari dei marchi originali, in conseguenza dei mancati guadagni che tale prassi determina, danno all’immagine legato alla qualità del prodotto che risulta costantemente di gran lunga inferiore alla qualità di quello originale italiano e diluzione del valore distintivo del marchio originale. Tale pratica produce effetti negativi anche nei confronti del consumatore che sarà attratto dal prodotto cinese in ragione del richiamo che lo stesso opera a quello noto italiano e indotto con inganno ad acquistare merce che altrimenti non avrebbe acquistato.

 

Contro le suddette pratiche confusorie, la riforma della legge marchi del 2013 ha previsto un correttivo di carattere generale, introducendo l’obbligo di osservare principi di correttezza e buona fede nella presentazione delle domande di registrazione e nell’uso dei marchi, nonché correttivi particolari in tema di opposizioni in materia di marchi, ampliando le ipotesi in cui può essere lamentata la violazione di un marchio, prevedendo un inasprimento delle sanzioni a fronte di violazioni, nonché istituendo le Corti specializzate per la trattazione ad hoc della materia della P.I.

Lo stato dell’arte, tuttavia, risente di una criticità fondamentale, ancorata nella rigida applicazione del principio “first to file” secondo il quale chiunque deposita per primo una domanda di marchio è ritenuto legittimo titolare del marchio e può godere a pieno titolo della tutela prevista dalla legge. Da più parti si è invocato il parallelo riconoscimento del principio “first to use”, riconoscendo la tutela dell’uso del marchio con un certo grado di reputazione/influenza sul mercato cinese nel settore di riferimento, in ossequio agli standard internazionali sulla tutela del marchio di fatto (che, per definizione, è un marchio utilizzato, ancorché non ancora registrato). Invero, come applicato nella maggior parte degli ordinamenti internazionali, la registrazione dovrebbe essere un istituto che conferma e pubblicizza l’esistenza di un marchio già usato, o che presto lo sarà, dal titolare stesso, non un sistema per assicurarsi in mala fede un diritto acquisito da altri.

 

Fatto salvo il regime di protezione riconosciuto ai marchi notoriamente conosciuti, la tutela del marchio usato con “certo grado di influenza” in Cina nel settore di riferimento – secondo la lettera della legge marchi cinese – incontra tuttavia ancora notevoli difficoltà attuative, perlomeno in sede di opposizione amministrativa, neppure in presenza di considerevoli prove sull’uso anteriore del marchio da parte dei legittimi titolari e neppure nella combinata applicazione dell’evidente malafede del contraffattore. Il livello di attenzione giurisprudenziale del problema sale invece presso gli organi giudicanti di ordine superiore, ossia le corti specializzate in PI e la Corte Superiore del Popolo.

Con questo problema si confrontano molti marchi (perlopiù appartenenti a PMI operative in settori di nicchia) che hanno conquistato un alto livello di conoscenza (e di influenza) sul mercato cinese, a fronte di notevole impegno ed ingenti investimenti, che si trovano a fronteggiare azioni di pirateria molto aggressive, con ricadute di fatturato e quote di mercato in Cina (e non solo). A queste realtà imprenditoriali va rivolto l’impegno di tutti gli operatori nel settore della PI (giuristi, accademici, funzionari delle amministrazioni competenti, giudici) al fine di promuovere e rafforzare l’azione di cooperazione internazionale ed europea.

Accogliendo le (più che fondate) preoccupazioni delle imprese e degli operatori del settore sulle sistematiche contraffazioni di marchi a danno dei (legittimi) titolari, il 1° Novembre 2019 entreranno in vigore alcuni importanti emendamenti alla Legge Marchi Cinese che sono stati approvati il 23 Aprile scorso dalla 10° Sessione del Comitato Permanente del 13° Congresso Nazionale.

La novella si concentra su sei articoli focalizzati proprio sui depositi di marchi in malafede e sul calcolo dei danni conseguenti alla violazione del marchio.

Degno di particolare nota è l’articolo 4, che in estrema sintesi dispone "Se il richiedente di un marchio non ha una chiara intenzione di usarlo, questi ha agito in malafede e la sua domanda sarà rifiutata dall'Ufficio Marchi".

L'articolo 19 prevede poi che il consulente marchi possa rifiutare di dare corso alle istruzioni ricevute per il deposito di marchi che sa essere privi di una vera intenzione d’uso e, quindi, evitare di configurare un'ipotesi di concorso con il richiedente in una condotta in malafede.

Il deposito del marchio in malafede comporta l’applicazione di considerevoli sanzioni pecuniarie che il Tribunale competente può comminare ai sensi dell’articolo 68. Come previsto dall’articolo 63, il calcolo del risarcimento del danno può aumentare da tre a cinque volte in base alla gravità dell’infrazione, fino ad arrivare ad un massimo di 5 milioni di yuan. Infine e finalmente, la malafede potrà essere motivo di opposizione e di invalidazione ai sensi degli articoli 33 e 44 della novella.

 

Da tempo, Unione Europea e Cina hanno stabilito una piattaforma di lavoro comune e comparatistica su due fronti: il primo è quello che va sotto la denominazione EU –China IP Dialogue, volto allo scambio di informazioni, valutazioni e strategie in materia di PI, il secondo è quello dell’IP Working Group del quale fanno parte i rappresentanti dell’industria europea che si riunisce a cadenza biennale a Pechino.

Solo un’azione multilevel potrà portare ad un’auspicabile applicazione di regole comuni e di linee guida a tutela delle imprese.

Avv. Emidia Di Sabatino
(Docente del Master Giuristi d’Impresa e del Master Export Management: Commercio Internazionale e Nuovi Mercati)

Avv. Marilena Garis
(Consulente in Proprietà Intellettuale dal 2005 – Sezione Marchi e Design e Mandatario accreditato avanti l’Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale - EUIPO)

Iscriviti alla
Newsletter

Si prega di digitare Nome e Cognome.
Si prega di inserire una Email.
Campo non Valido

Risorse Alma Laboris

Opportunità

Press Area

Offerta Formativa

Placement

La Business School

ALMA IN.FORMA