Alma Laboris Business School - Delibera Corte dei Conti n. 26/2017: novità per il personale

Delibera Corte dei Conti n. 26/2017: novità per il personale

Delibera Corte dei Conti n. 26/2017: novità per il personale

I comuni possono sostenere direttamente gli oneri assicurativi per l’assicurazione dei volontari utilizzati; le amministrazioni devono pubblicare sul proprio sito i dati sui redditi ed i patrimoni dei dirigenti e che le valutazioni negative hanno come presupposto indispensabile la verifica del mancato raggiungimento degli obiettivi assegnati.

 

Novità per il personale: oneri assicurazione volontari, dichiarazione dei redditi dei dirigenti e presupposti per la valutazione negativa

Sono queste alcune delle più importanti novità nella gestione del personale che provengono, rispettivamente, da una deliberazione della sezione autonomie della Corte dei Conti, dalle indicazioni dell’Anac e da una sentenza della Corte di Cassazione.

 

Gli oneri per le assicurazioni dei volontari

Le amministrazioni possono sostenere gli oneri per le polizze assicurative dei volontari utilizzati sulla base di un rapporto diretto e senza l’intervento di associazioni, a condizione di avere regolamentato preventivamente le modalità di ricorso ai volontari, di avere previsto tali oneri nel proprio bilancio e fo avere garantito agli stessi un’ampia autonomia. In questa direzione vanno le indicazioni contenute nella deliberazione della sezione autonomie della Corte dei Conti n. 26/2017.

 

Ecco il principio di diritto affermato nella pronuncia:  

“Gli enti locali possono stipulare, con  oneri  a  loro  carico,  contratti  di  assicurazione  per  infortunio,  malattia  e responsabilità civile verso terzi a favore di singoli volontari coinvolti in attività di utilità sociale, a condizione che, con apposita disciplina regolamentare, siano salvaguardate la libertà di scelta e di collaborazione dei volontari, l’assoluta gratuità della loro attività, l’assenza di qualunque vincolo di subordinazione e la loro incolumità personale”.

 

Leggiamo in primo luogo che,

“secondo la definizione contenuta all’art. 17, comma 2, del D.Lgs. n. 117/2017 (cd codice del terzo settore), il volontario è una persona che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune, anche per il tramite di un ente del Terzo settore, mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ed esclusivamente per fini di solidarietà”. Tale condizione è quindi caratterizzata dal fatto che il volontario “deve potersi sentire sempre libero di recedere dalla propria scelta, revocando in qualsiasi momento la disponibilità dimostrata, senza condizioni o penali, poiché la sua prestazione lavorativa, in quanto caratterizzata dall’elemento della spontaneità e dallo spirito di solidarietà, risponde esclusivamente ad un vincolo morale (caritativo o filantropico, ideale o religioso)”.

 

Ed ancora,

“l’attività di volontariato esula da qualunque vincolo di natura obbligatoria che non sia il dovere di rispetto discendente dal principio del neminem laedere. Essa è, pertanto, intrinsecamente incompatibile con l’instaurazione di un rapporto di lavoro, stabile o precario, autonomo o subordinato” ed “è incompatibile con qualsiasi forma di riconoscimento dell’attività svolta, compresa la precostituzione di titoli di merito ai fini dell’accesso a posizioni di pubblico impiego di qualunque natura. Lo stesso è a dirsi per quelle forme di pseudo-volontariato che dissimulano l'esistenza di un vincolo di subordinazione, inteso come assoggettamento del volontario ad un penetrante potere direttivo, disciplinare e di controllo dell’ente in ordine alle modalità e ai tempi della prestazione, o che, comunque, risultano intrinsecamente caratterizzate dall’onerosità della prestazione, tipica della causa di scambio tra lavoro e retribuzione o della causa associativa”.

 

Pertanto, “non sussistono preclusioni di principio a che singoli volontari scelgano di porre “il proprio tempo e le proprie capacità” al servizio di un’organizzazione più strutturata, quale quella di un ente locale, capace di indirizzare in modo più proficuo la loro attività alla realizzazione di precisi obiettivi di solidarietà sociale. Tale assunto trova riscontro nell’art. 17, comma 2, del d.lgs. n. 117/2017. Allo stesso modo, anche l’ente locale ha facoltà di ricorrere a volontari che a titolo individuale intendano promuovere iniziative dirette al soddisfacimento di interessi comuni senza l’intermediazione delle organizzazioni del Terzo settore” (comma 315 legge n. 208/2015).

 

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Infine,

“l’assenza di una normativa che assicuri il rispetto di alcune condizioni essenziali per garantire ai volontari una partecipazione libera e spontanea, dotata dei caratteri della occasionalità, accessorietà e totale gratuità richiede, tuttavia, l’adozione di un regolamento che disciplini le modalità di accesso e di svolgimento dell’attività in senso conforme alla normativa dettata per gli enti del Terzo settore dovrà essere prevista l’istituzione di un apposito registro dei volontari, le cui risultanze, se conformi ai criteri previsti per la tenuta dei registri in materia di volontariato, faranno fede ai fini della individuazione dei soggetti aventi diritto alla copertura assicurativa contro gli infortuni e le malattie nonché per la responsabilità civile per i danni cagionati a terzi conseguenti allo svolgimento dell’attività, con oneri a carico dell’ente locale in quanto beneficiario finale delle attività dei singoli volontari dallo stesso coordinate. Il regolamento dell’ente dovrà assicurare, altresì, che i requisiti soggettivi previsti per l’iscrizione nel registro dei volontari non abbiano carattere discriminatorio e che i requisiti psico-fisici e attitudinali eventualmente richiesti siano finalizzati esclusivamente a garantire agli aspiranti volontari attività compatibili con le condizioni soggettive di ciascuno di essi. Analogamente, le modalità di cancellazione dal registro dovranno garantire ai singoli volontari la facoltà di rinuncia incondizionata alla disponibilità da loro manifestata e non potranno avere carattere sanzionatorio, stante l’assenza di vincoli di subordinazione gerarchica o di poteri disciplinari. I rischi connessi all’attività di volontariato e ogni altro evento che possa modificare le modalità di collaborazione dovranno essere comunicati preventivamente al volontario, affinché questi possa esprimere liberamente il proprio consenso ed accettare spontaneamente di prestare la collaborazione nei tempi e nei modi convenuti. Infine, poiché dalla copertura assicurativa discendono oneri a carico dell’ente, lo stesso sarà tenuto a prevedere la relativa copertura finanziaria negli ordinari strumenti di programmazione e di bilancio”.

 

La pubblicazione dei redditi dei dirigenti

Le amministrazioni devono pubblicare i dati sui redditi ed i patrimoni dei propri dirigenti e delle posizioni organizzative. La sospensione suggerita dall’Anac con la deliberazione n. 382 dello scorso 13 aprile 2017 a seguito delle indicazioni dell’Avvocatura dello Stato dopo la sospensione disposta dal Tar del Lazio del rispetto di tale vincolo, non può proseguire ancora. In tale direzione vanno le indicazioni fornite dalla stessa Autorità con la dichiarazione del presidente dello scorso 8 novembre ed il comunicato di del 24 novembre. Per il Presidente dell’Anac l’essere stata sollevata d’ufficio dal TAR del Lazio l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 14, co. 1-ter, del d.lgs. 33/2013 non ha alcun effetto sospensivo”. Per l’Anac “la circostanza in base alla quale il Tar Lazio, con ordinanza dello scorso 19 settembre, ha sollevato questione di legittimità costituzionale davanti alla Consulta nei confronti dell’art. 14, co. 1-ter, del d.lgs. 33/2013 non ha infatti alcun effetto sospensivo”.

Ricordiamo che la stessa Anac, con le deliberazioni n. 241 e 641, ambedue del 2017, ha chiarito che nei comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti tale obbligo non sussiste né per gli amministratori, né per i dirigenti, né per i titolari di posizione organizzativa e che nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti privi di dirigenti devono essere pubblicati i dati sul reddito ed il patrimonio anche dei titolati di posizione organizzativa cui sono conferiti incarichi dirigenziali ai sensi dell’articolo 109 del D.Lgs. n. 267/2000.

 

I presupposti della valutazione negativa dei dirigenti

Presupposto indispensabile della valutazione negativa dei dirigenti è la verifica del mancato raggiungimento degli obiettivi assegnati; una clausola del contratto decentrato che prevedesse la stessa con riferimento alle attività svolte ed alle competenze dimostrate deve essere giudicata come illegittima. Sono queste le indicazioni di maggiore rilievo contenute nella sentenza della sezione lavoro della Corte di Cassazione n. 28404 dello scorso 28 novembre. Alla base di tale pronuncia la violazione dell’articolo 29 del CCNL della dirigenza delle regioni e delle autonomie locali, il quale stabilisce che impegna gli enti a definire le metodologie per la valutazione e che subordina la erogazione della indennità di risultato alla preventiva assegnazione degli obiettivi ed alla verifica positiva dei risultati di gestione raggiunti in relazione agli stessi. Nella stessa direziona anche l’articolo 14 dello stesso contratto che impone la valutazione sulla base degli obiettivi assegnati e delle competenze organizzative, previa la adozione della relativa metodologia che deve essere comunicata ai dirigenti prima del periodo di riferimento.

La sentenza richiama i principi fissati nella pronuncia della stessa sezione della Corte di Cassazione n. 9392/2017, per la quale “perché venga effettuata una valutazione negativa dell’operato di un dirigente per non avere raggiunto gli obiettivi, da cui derivi la mancata corresponsione dell’indennità di risultato, è necessario che l’interessato sia stato posto in condizione di conoscere tempestivamente gli obiettivi fa raggiungere, periodicamente e/o anno per anno”. In altri termini, vi è la constatazione che il legislatore “ha inteso perseguire, assegnando primario rilievo nella disciplina della dirigenza pubblica non giù alla generica osservanza dei doveri di ufficio, bensì ai risultati dell’attività dirigenziale, da valutarsi in relazione alle ragionevoli attese e, quindi, ad obiettivi specifici e predeterminati assegnati ai dirigenti”. Tale principio, anche con riferimento alle regole dettate per il rapporto tra la contrattazione nazionale e quella decentrata che ha un carattere subordinato rispetto alla prima, non può in alcun modo essere derogato a livello di singole amministrazioni. E che la violazione di questo principio determina la nullità delle clausole contenute nei contratti decentrati. Per le stesse ragioni deve essere considerata illegittima una clausola del contratto decentrato che preveda, in mancanza della assegnazione di obiettivi, che la valutazione sia effettuata sulla base delle competenze professionali e/o dell’attività istituzionale svolta.

 

 

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