Preavviso di licenziamento e dimissioni: durata e conseguenze
Il preavviso è il periodo intercorrente tra la comunicazione di recesso e l'effettiva cessazione del contratto di lavoro, al cui rispetto è tenuta la parte che, per volontà unilaterale, intende estinguere il rapporto lavorativo.
L'obbligo di preavviso in caso di recesso dal contratto di lavoro
A mente dell'art. 2118 c.c., invero, ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti dagli usi o secondo equità e, in seguito all'abrogazione delle norme corporative, secondo le previsioni dei contratti collettivi di lavoro.
Si tratta di un istituto giuslavoristico previsto nell'interesse della parte non recedente, la cui ratio è, più segnatamente, quella di "attenuare le conseguenze pregiudizievoli dell'improvvisa cessazione del rapporto per la parte che subisce l'iniziativa del recesso" (ex multis, Cass. n. 2897/1977). Quando il diritto di recesso viene esercitato dal datore di lavoro, si parla di preavviso di licenziamento, che consente al lavoratore licenziato di usufruire di un periodo retribuito mentre ricerca un'altra occupazione; se a recedere è il lavoratore si parla di preavviso di dimissioni, utile al datore receduto per provvedere all'assunzione di un nuovo lavoratore nell'organizzazione produttiva in sostituzione del dimissionario.
Il termine di preavviso di licenziamento e dimissioni
Il termine di preavviso di licenziamento e dimissioni è stabilito dai contratti collettivi nazionali di categoria (CCNL) sulla base del livello di inquadramento e alla qualifica del lavoratore in relazione all'anzianità di servizio dello stesso. Tendenzialmente, quanto più elevati sono livello di inquadramento, qualifica e anzianità lavorativa tanto maggiore è il preavviso richiesto. In mancanza di specifica previsione, la durata del preavviso viene determinata dagli usi o secondo equità.
Il periodo di preavviso fissato dai CCNL è inderogabile in peius in sede di contrattazione individuale mentre ammette modifiche più favorevoli per il lavoratore. È stato, altresì, ritenuto valido l'accordo tra datore di lavoro e lavoratore che imponeva un termine di preavviso per le dimissioni superiore a quello disposto per il licenziamento, ove la facoltà di deroga sia prevista in sede collettiva e al lavoratore sia riconosciuto un compenso in denaro a titolo di corrispettivo per il maggior termine (cfr. Cass. 23235/2009).
Decorrenza e sospensione del preavviso
La decorrenza del preavviso viene calcolata dal momento in cui il recesso è portato alla conoscenza della controparte o dal diverso termine previsto dai CCNL. Nel periodo di preavviso non vengono computati i giorni di assenza del lavoratore dovuti a malattia (cfr. ex multis, Cass. n. 4915/1983) e ferie (Cass. n. 985/2017), mentre resta dibattuto se la sospensione del preavviso operi anche in caso di infortunio e maternità.
La derogabilità del preavviso
Ferma restando l'inderogabilità della normativa sul preavviso in favore del recedente, la giurisprudenza, chiamata a giudicare della legittimità di eventuali clausole contrattuali che prevedano la dispensa ex post del preavviso ad opera della parte receduta, si è espressa in senso affermativo precisando che la regolamentazione dei successivi profili economici connessi allo scioglimento del rapporto rientra nella libera disponibilità dei contraenti (cfr. Cass. n. 1257/1978). Gli stessi contraenti, pertanto, sia in sede di contrattazione collettiva che individuale, "possono validamente pattuire la facoltà per il non recedente, che abbia ricevuto la comunicazione del preavviso, di troncare immediatamente il rapporto di lavoro, senza che ne derivi alcun obbligo di indennizzo per il periodo di preavviso non compiuto, non derivandone pregiudizio per il recedente, che con la prestata adesione al regolamento preventivo degli effetti del recesso è in condizione di valutarne in anticipo le possibili conseguenze" (Cass. n. 18377/2009).
Il mancato preavviso
Ai sensi dell'art. 2118 c. 2 c.c., in mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l'altra parte ad un'indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso (cd. indennità sostitutiva del preavviso). Il mancato rispetto dell'obbligo di preavviso da parte del lavoratore dimissionario si traduce non tanto nella materiale corresponsione di somme al datore di lavoro, quanto nella trattenuta da parte di quest'ultimo delle eventuali somme spettanti a titolo di stipendio o trattamento di fine rapporto.
L'indennità di preavviso si calcola a norma del principio dell'onnicomprensività della retribuzione sancito dall'art. 2121 c.c., computando le provvigioni, i premi di produzione, le partecipazioni agli utili o ai prodotti (da determinarsi sulla media degli emolumenti degli ultimi tre anni di servizio o del minor tempo di servizio prestato) ed ogni altro compenso di carattere continuativo, incluso l'equivalente del vitto e dell'alloggio dovuto al lavoratore, con esclusione di quanto corrisposto a titolo di rimborso spese.
La natura risarcitoria ovvero indennitaria-retributiva attribuita all'indennità sostitutiva dipende in gran parte dalla ricostruzione dell'efficacia del preavviso in termini realità o obbligatorietà. Se aderendo all'impostazione dell'efficacia reale del preavviso si intende individuare quale obbligo principale del recedente quello di consentire alla controparte lo svolgimento delle prestazioni del rapporto di lavoro, allora si deve concludere che l'indennità sostitutiva rappresenti il ristoro patito dal receduto per la mancata attività. Viceversa, mediante il riconoscimento dell'efficacia obbligatoria del preavviso, assume rilevanza l'obbligazione alternativa in capo al recedente di fornire il preavviso e consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro sino alla scadenza del termine o di pagare l'indennità sostituiva, la quale, trattandosi di facoltà prevista direttamente dalla legge, ben può assumere carattere indennitario o retributivo, in sostituzione di quanto sarebbe stato percepito durante il rapporto.
Le eccezioni
L'obbligo di preavviso non è previsto nelle ipotesi in cui il rapporto di lavoro a tempo indeterminato cessi per:
- Giusta causa, ossia, ex 2119 c.c., qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto (cd. licenziamento o dimissioni in tronco), per tale intendendosi fatti di particolare gravità che, soggettivamente ed oggettivamente valutati, comportino una grave ed irrimediabile negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e della fiducia insita nello stesso (cfr. Cass. n. 239/1998);
- Mutuo consenso, ossia su accordo delle parti come previsto dal principio generale del comune accordo in materia contrattuale all'art. 1372 c.c. Il che vale anche in presenza di una clausola del contratto di lavoro che preveda l'automatica risoluzione del rapporto al raggiungimento dell'età pensionabile.
Dimissioni telematiche e obbligo di preavviso
A far data dal 16 marzo 2016, in applicazione a quanto previsto dal d.lgs. n. 151/2015, le dimissioni del lavoratore possono essere trasmesse al datore di lavoro soltanto in via telematica per mezzo dell'apposito "Modulo recesso dal lavoro/revoca" direttamente dal lavoratore interessato munito di PIN INPS o dai soggetti abilitati (CAF, sindacati, patronati, enti bilaterali, commissioni di certificazione). Il modulo, da compilarsi secondo le indicazioni di cui al D.M. 15 dicembre 2015, è reperibile all'indirizzo istituzionale del Ministero del Lavoro.
Tale procedura, come chiarito dalla circolare n. 12/2016 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, non incide sull'obbligo di preavviso in capo a lavoratore e non modifica la disciplina del rapporto e della sua risoluzione. Poiché le dimissioni telematiche vanno inoltrate all'indirizzo di posta elettronica certificata del datore di lavoro, in particolare, è necessario che, ai fini del calcolo del preavviso, il lavoratore tenga conto della data di invio del modulo.
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