Consulente del lavoro, una figura chiave per le aziende
Il Consulente del Lavoro, una figura chiave della quale non si può fare a meno. In costante crescita, nonostante le difficoltà della crisi economica. È l’immagine che emerge dall’indagine “Crescita e consolidamento nel futuro dei consulenti del lavoro”, realizzata dal Censis per conto dell’Ente di previdenza di Categoria (Enpacl), con il patrocinio del consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro.
Il Consulente del Lavoro, una professione solida
Secondo la ricerca il consulente del lavoro è una professione “solida”, e per due clienti su tre, infatti, rappresenta una figura chiave della quale non si può fare a meno. Una professione tutt’altro che in declino nonostante le difficoltà congiunturali e strutturali del sistema economico italiano. Se si guarda alle prospettive future, e sono le aziende a dirlo, il ruolo e l’importanza del consulente sono destinati a crescere in virtù di un mondo del lavoro periodicamente al centro di interventi legislativi.
Il giudizio positivo delle aziende clienti intervistate riflette il clima interno ad una categoria, spiega la ricerca, che ha saputo intercettare il cambiamento e diventare sempre più protagonista nel mondo del lavoro. Non è un caso, del resto, se il 56,9% del campione vede soddisfatto uno dei requisiti fondamentali della scelta della libera professione, mentre il 47,6% trova nell’elemento di dinamicità una caratteristica centrale. A questi aspetti si affiancano elementi più centrati sulla persona e sul lavoro in sé, come il poter restare attivi anche avendo un’età avanzata (32,7%), o più legati alla possibilità di dare un contributo al contesto sociale in cui si opera, garantendo una maggiore giustizia e tutela dei diritti (32,5%).
Tutt’altro che prioritari, invece, gli aspetti connessi con le opportunità di reddito elevato (7,2%) o con lo status che può essere acquisito con la professione (3,6%). Tra i fattori più importanti che hanno reso decisiva la scelta della professione la voglia di lavorare in autonomia (40,2%), seconda solo alla passione per i contenuti del lavoro (41,0%). A caratterizzare le sfide future di questa professione la necessità di strutturare meglio l’attività professionale.
Il Censis, nel suo report, riscontra la preponderanza di strutture centrate sull’attività del singolo professionista titolare di studio. Sette consulenti su dieci sono, infatti, titolari unici, il 17,4% svolge la professione come contitolare e soltanto il 3,8% agisce all’interno di una società tra professionisti. Il 9% del campione, invece, collabora in forma retribuita con uno studio professionale. Quanto all’informatizzazione dell’attività, il consulente del lavoro si mostra all’avanguardia nel rispettare gli adempimenti telematici che coinvolgono la pubblica amministrazione.
Non è così quando si tratta della promozione dello studio. In media, a livello nazionale, tre studi su dieci dispongono di un proprio sito web e una percentuale vicina al 40% dichiara di aderire a reti di collaborazione formale o informale con altri professionisti (36,8%). La dimensione della relazionalità trova comunque spazio attraverso i tradizionali canali di promozione come il “passaparola” fra i clienti, le relazioni sociali e le amicizie.
Non è un caso se il 47% del campione vede nel rapporto di fiducia costruito e garantito nel tempo l’elemento distintivo che permette di consolidare la clientela. A questo si aggiunge un altro 39% che sottolinea l’importanza di un’interlocuzione diretta con il titolare dell’impresa cliente. Nella stragrande maggioranza dei casi il rapporto che lega i consulenti del lavoro alle aziende clienti è di lunga durata.
La core activity del consulente del lavoro: l’amministrazione del personale
Se non si verificano “incidenti di percorso”, errori e mancanze significative, è rarissimo che le aziende cambino il proprio consulente del lavoro di riferimento. Di conseguenza, la maggior parte dei rapporti tra aziende e professionisti corrisponde all’intero ciclo della vita aziendale e capita spesso che, alla nascita di nuove aziende, vengano scelti consulenti del lavoro che avevano già, in passato, rapporti professionali con titolari e soci delle società nuove. Nell’ambito delle tematiche e delle materie di riferimento per l’attività professionale, si profila una forte concentrazione in quella che può essere considerata la core activity del consulente del lavoro e cioè l’amministrazione del personale legata alle paghe e alla previdenza del lavoro dipendente.
Ciò non toglie la presenza di un progressivo allargamento dell’area d’intervento che comprende in particolare la consulenza giuridica ed economica sui rapporti di lavoro (48,6%) e la consulenza fiscale, finanziaria e societaria (38,1%).
Significativa anche l’area delle prestazioni che riguardano la contrattualistica (26,7%), mentre più contenuta la quota di chi segnala l’impegno sul versante delle relazioni sindacali (8,4%). I consulenti del lavoro, come del resto tutti i professionisti, hanno dovuto fronteggiare il dispiegarsi, non breve, di una crisi che ha colpito l’economia italiana e ha prodotto, nel tempo, una decisa riconfigurazione dei comportamenti della domanda e dell’offerta di servizi e prodotti.
Buona parte dell’impatto generale si è quindi scaricata sul versante occupazionale e, nello stesso tempo, ha portato all’attenzione le modalità di gestione delle risorse umane e le esigenze di riforma del mercato del lavoro.
Tutto ciò ha fatto emergere la centralità delle funzioni e delle competenze dei consulenti del lavoro e per certi aspetti ha modificato, nel corso degli ultimi anni, il ruolo svolto dalla professione nel supporto alle decisioni aziendali in materia di personale.
L’andamento della professione
Emerge, secondo il Censis, una sostanziale tenuta della professione, poiché la quota di chi ha visto diminuire il proprio fatturato negli ultimi due anni è pari al 32,9%, mentre la percentuale di chi ha dichiarato un aumento di fatturato è inferiore di circa sette punti (25,6%). A questi però si affianca il 38,3% che ha visto invariato il proprio fatturato.
Le differenze territoriali affiorano in maniera abbastanza netta, con i consulenti del Nord Est che mostrano performance più positive rispetto ai colleghi delle altre macro aree e i consulenti che vivono nel Meridione che hanno visto diminuire il proprio fatturato nel 35,4% dei casi.
Alla luce di queste indicazioni, i consulenti del lavoro guardano alla loro condizione attuale riconoscendo le difficoltà e le criticità esistenti, ma nello stesso tempo mostrano un moderato ottimismo per il prossimo futuro. Una maggiore positività caratterizza le previsioni della componente più giovane della professione, la quale si attende un miglioramento della condizione professionale. Per gli ultracinquantenni la quota degli ottimisti si riduce sensibilmente portandosi al 26,7%, mentre per la classe d’età compresa fra i 41 e i 50 anni la percentuale si ferma al 39,2%.