Giornalismo, quando le bugie e i raggiri servono a raccontare le storie: alcuni casi controversi
In un momento di caduta della fiducia nei mezzi di informazione, l’ascesa dei social media, la disinformazione e la disinformazione sono dilaganti.
La fiducia nelle notizie è importante, ed è proprio per questo che nasce la domanda oggetto del dibattito: può mai essere una buona cosa mentire per raccontare una storia?
L'inganno è infatti uno dei problemi etici più comuni nel giornalismo. La gravità varia dalla falsa dichiarazione all'uso di fonti anonime, destinate a rimanere tali e a rappresentare una sorta di potere occulto. Il giornalista, secondo la scrittrice e giornalista americana Janet Malcolm, era “una specie di uomo di fiducia, che depreda la vanità, l'ignoranza o la solitudine delle persone, guadagnandosi la loro fiducia e tradendola senza rimorsi”.
Esistono diversi case study riguardo la possibilità, per i giornalisti, di mentire. Uno riguarda l'utilizzo da parte di Cambridge Analytica dei dati raccolti da Facebook su 87 milioni di suoi utenti nel mondo. Questi dati sono stati utilizzati per influenzare le elezioni in diversi paesi, inclusi gli Stati Uniti nel 2016.
Ma il più caratteristico racconta di inganno e tradimento: quelli inflitti a migliaia di persone innocenti in Gran Bretagna dal quotidiano News of the World di Rupert Murdoch nell'hackerare i loro telefoni cellulari.