Depenalizzazione della diffamazione e libertà di stampa: il report Unesco
L’Italia è uno dei Paesi che hanno fatto più passi indietro per quanto concerne la libertà di stampa. Non certo un primato di cui andare fieri, ma un’amara constatazione di un movimento, quello giornalistico italiano, schiacciato da diversi, troppi, fattori.
Secondo uno degli ultimi report Unesco, questo potrebbe essere costituito dall’uso improprio del sistema giudiziario. La depenalizzazione di reati come quello della diffamazione potrebbe essere una soluzione?
Si parla di Slapp, acronimo di Strategic lawsuit against public participation, ovvero iniziative giuridiche contro la partecipazione alla vita pubblica. Slapp, però, in inglese vuol dire anche ‘schiaffo’. Parliamo delle cosiddette querele temerarie, che in Italia superano le cinquemila all’anno: intimidazioni composte da processi infiniti e risarcimenti esagerati, verso i giornalisti che, loro malgrado, si trovano a vedere limitata la loro libertà di stampa.
Andiamo al centro del focus, la depenalizzazione della diffamazione. “Nell’80% dei Paesi del mondo, la diffamazione è ancora regolata” – si legge – “principalmente dalla legge penale e in molti paesi i colpevoli sono passibili della pena detentiva. È sempre più condivisa l’idea che considerare la diffamazione a mezzo stampa come un reato abbia un “effetto raggelante” sulla libertà di informazione. E che il carcere sia una punizione assolutamente sproporzionata”.
I rimedi, invece, “dovrebbero essere proporzionati, puntando a riparare il danno causato da certe espressioni piuttosto che a punire chi le ha fatte”. I tribunali poi dovrebbero dare priorità ai rimedi non pecuniari. E quelli pecuniari “dovrebbero tenere conto della capacità finanziaria dell’imputato (ad es. evitando il suo fallimento) e del fatto che sono stati adottati anche meccanismi volontari o di autoregolamentazione (ad es. scuse, rettifiche, repliche)”.